Lingodrops 6: Panoramica sulla metafora concettuale

Alla voce metafora del vocabolario incontriamo un “processo linguistico espressivo, e figura della retorica tradizionale, basato su una similitudine sottintesa, ossia su un rapporto analogico, per cui un vocabolo o una locuzione sono usati per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente esprimono”.

Questa figura linguistica ha le sue radici nell’antica Grecia e negli ultimi anni ha visto un incremento dei suoi studi e ricerche, nonché diverse critiche. Uno dei testi chiave di queste ultime decadi è senza dubbio Metaphors we live by di George Lakoff e Mark Johnson pubblicato nel 1980 dalla University of Chicago Press.

Gli studi inerenti alla metafora concettuale sono parte della branca della linguistica detta “cognitiva”.

In Metaphors we live by, Lakoff e Johnson analizzano un ampio spettro di metafore e concetti differenti: dalla sistematicità dei concetti metaforici al fenomeno dell’highlightinghiding, dalle metafore di orientamento, ontologiche alle personificazioni, metonimie e similitudini. Per poi seguire con temi come l’oggettivismo e soggettivismo per arrivare all’experientialism, una teoria filosofica sviluppata sempre dai due coautori che pone l’esperienza come sorgente del sapere.

Riguardo le critiche posteriormente menzionate, grandi critiche e discussioni, potremmo quasi dire, delle vere e proprie battle, tra Lakoff e linguisti come Steven Pinker e Noam Chomsky. Soprattutto interessante quest’ultimo, perchè George Lakoff fu proprio studente di Chomsky. Famose le loro discussioni in ambito linguistico, tantoché, al giorno d’oggi, non c’è più comunicazione tra i due.

Mettendo da parte le ombre che si celano dietro Lakoff o le sue teorie, Metaphors we live by è sicuramente un testo consigliato alla lettura e che può offrire sicuramente una buona base di partenza per chi fosse interessato ai temi della linguistica cognitiva o della metafora concettuale, con i suoi pregi ma anche con le critiche a cui è esposto.

Lingodrops 5: Linguistica e dintorni

La definizione del Vocabolario on line del sito della Enciclopedia Treccani definisce la linguistica come la “scienza che studia sistematicamente il linguaggio umano nella totalità delle sue manifestazioni, e quindi le lingue come istituti storici e sociali, la loro ripartizione, i loro reciproci rapporti, nonché la funzionalità delle singole lingue sotto differenti aspetti (fonetico, sintattico, lessicale, semantico), sia nella struttura con cui si presentano in un determinato momento della loro storia sia nella loro evoluzione attraverso il tempo”.

Tuttavia, dalla seconda metà del XX secolo, dato il grande incremento degli studi e delle ricerche della linguistique, questo termine è diventato un po’ stretto e nuove discipline correlate sono nate.

A seguire, cercheremo di dare una classificazione sistematica di questi nuovi studi.

(i) Sociolinguistica: è il “settore della linguistica che studia i fenomeni linguistici in specifico rapporto con le diverse situazioni sociali.”. Il primo studioso a dare uno spazio centrale al carattere sociale del linguaggio fu Ferdinand de Saussure.

(ii) Pragmalinguistica, o Pragmatica:  è il “termine introdotto dal filosofo Morris per indicare quella parte della semiotica che studia i segni in relazione ai loro utenti, e quindi al contesto e al comportamento segnico e linguistico attraverso cui si realizza il processo di significazione”.

(iii) Linguistica testuale: è la “branca della linguistica teorica, si è espansa secondo tre linee di sviluppo. In primo luogo, si è continuato a interrogarsi sulla legittimità di una linguistica del testo e sulla specificità dell’oggetto di essa. In secondo luogo, si sono estese le ricerche sulla tipologia dei testi, e, correlativamente, sui criteri per differenziare i vari tipi di testi. In terzo luogo, si sono intensificate le ricerche sulle condizioni di testualità (sulla coesione e sulla coerenza dei testi)”.

(iv) Linguistica cognitiva: è una branca delle scienze cognitive, che sono “l’insieme delle discipline che hanno per oggetto lo studio dei processi cognitivi umani e artificiali”. Gli studi linguistici sono applicati allo studio di questi processi cognitivi.

(v) Neurolinguistica: è la “corrente di pensiero che, associando alcuni metodi della linguistica ai dati prevalentemente morfologici delle ricerche anatomo-cliniche e neurofisiologiche, studia la connessione fra disturbi del linguaggio (soprattutto le afasie) e lesioni cerebrali”.

(vi) Psicolinguistica: è il “ramo della linguistica e della psicologia che studia i fenomeni del linguaggio in rapporto ai processi psicologici che li determinano, con particolare attenzione alle relazioni tra significato e comunicazione, all’apprendimento delle lingue, alla connessione tra linguaggio e centri motorî, nonché all’origine neurologica delle disfunzioni linguistiche”.

(vii) Linguistica dei corpora: è lo studio della linguistica applicato ai corpora, che sono “collezioni, per lo più di grandi dimensioni, di testi orali o scritti prodotti in contesti comunicativi reali (per es., registrazioni di discorsi o articoli di giornale), conservati in formato elettronico e spesso corredati di strumenti di consultazione informatici”.

(viii) Linguistica storica: è la disciplina che si occupa dello studio storico delle lingue e delle loro famiglie e gruppi di appartenenza, delle origini etimologiche delle parole, considerando i loro rapporti e sviluppi in diacronia.

Lingodrops 4: I falsi amici, italiani e spagnoli

In linguistica, un falso amico, o false friend dall’inglese, è “una parola spesso confusa con un’altra di significato differente in un’altra lingua, a causa della loro somiglianza”, secondo il Cambridge Dictionary.

Se prendiamo in esempio la relazione tra la lingua italiana e quella spagnola, a prima vista, possiamo “annusare” un gran numero di analogie. Però, dopo una visione più attenta, ci ritroviamo spesso in contatto con parole molto simili tra di loro nei rispettivi idiomi (che condividono lo stesso ceppo romanzo) ma che significano certamente qualcosa di diverso.

Molte di queste parole si incontrano spesso nel linguaggio di tutti i giorni. Se ci trovassimo in Spagna, o con parlanti spagnoli, ci ritroveremmo spesso in situazioni che spazino dal comico all’imbarazzante. Per immaginarci meglio queste occorrenze, facciamo qualche esempio pratico:

(i) Se ci troviamo a volere mettere dei fiori in un vaso… Beh, normalmente, in Spagna vaso è la parola per indicare il bicchiere da cui si beve;

(ii) Quando dobbiamo pagare una rata ma il suo correlativo iberico è topo. Pagare un topo può risultare una strana azione, in caso qualcuno ci chiedesse cosa si stesse facendo;

(iii) Quando il pelo, è in realtà un capello italiano;

(iv) Quando ascoltiamo la parola embarazada e non significa un imbarazzo di un attimo, bensì l’essere in attesa di un figlio o figlia.

(v) Se cerchiamo una cura per una malattia, ma il cura è, in realtà, un prete. Una cura è, in spagnolo, il tratamiento;

(vi) Quando siamo in cucina e chiediamo il burro ci ritroveremo sicuramente di fronte a una domanda o un’espressione di confusione. Il burro spagnolo è la mantequilla. Il burro è l’asino in italiano;

(vii) Sempre in cucina, se invece del burro (quello italiano) chiediamo l’aceite, ci verrà dato l’olio. Strano, in effetti. E l’aceto? Vinagre, ovviamente;

(viii) Quando facciamo dei calcoli e l’addizione è adición, però ¡Atención! perché basta raddoppiare la -c- e avremo una addicción, ovvero una dipendenza;

(ix) Quando largo sta per lungo o alto, pronto sta per presto, todavía per ancóra e salir subir rispettivamente per uscire e salire;

Lingodrops 3: Parole tedesche intraducibili

Ovviamente, non tutte le lingue sono uguali. E molto spesso ci sono parole che non hanno un loro reciproco in un altro idioma. Questi frammenti di lingua sono pezzi unici del repertorio linguistico a cui facciamo riferimento. In alcuni casi possono dirci anche, direttamente o indirettamente, qualcosa sulla cultura del popolo in questione.



verschlimmbessern è un verbo all’infinito che ha significato di ‘peggiorare qualcosa tentando di migliorarla’. Cercavate di risolvere un problema ma, al farlo, i problemi sono diventati due (o più)? Kein Problem, in Germania si è pensato alla giusta parola da usare al momento giusto. Un problema in meno!


Waldeinsamkeit, nata dalla formazione delle parole Wald, che significa bosco, e Einsamkeit, che significa solitudine. Si usa per descrivere la sensazione di solitudine data dall’essere soli in un bosco. Può oscillare da un significato più “spirituale” alla descrizione di una situazione di paura.
Secondo Duden “Abgeschiedenheit des Waldes“, ovvero una ‘reclusione (o isolamento) del bosco’.



Fernweh, dall’unione di fern, ovvero lontano, e Weh, dolore. Questa parola è l’antonimo di un’altra famosa: Heimweh, il dolore provocato dall’essere lontani dalla propria casa, dalla propria famiglia e dai propri amici. Fernweh è un sentimento più forte di quel Wanderlust, o il  desiderio di viaggiare. L’oggetto del Fernweh è sempre il viaggiare ma, quel ‘semplice’ desiderio, già non è più un desiderio ma un qualcosa di più grande: un bisogno, una necessità.


Kummerspeck è la parola tedesca usata per indicare il grasso in eccesso guadagnato attraverso la sovralimentazione, specialmente in periodi di forte stress o malessere.


Similarmente, Frustfressen è un sostantivo che si utilizza per indicare il mangiare eccessivamente, causato da uno stato psicologico di frustazione.


La Schnappsidee è una parola che descrive una idea che in un primo momento sembra geniale ma successivamente si rivela assurda o pazza. Questa idea è, o si suppone essere, stata originata in stato ebbrezza.


Fremdschämen indica la sensazione di imbarazzo e vergogna che si prova per un’altra persona.

Lingodrops 2: Pidgin e lingue creole

Pidgin, secondo la definizione di Treccani, è “un codice linguistico che si forma in situazioni di contatto plurilingue fra gruppi socio-culturali che per circostanze diverse si trovano a interagire, e il cui uso di solito è circoscritto a certi domini (per es., e frequentemente, quelli degli scambi commerciali) e coesiste con quello delle lingue materne di ciascun gruppo”.


La nascita di un pidgin, che normalmente avviene in una situazione di disuguaglianza socio-economica dei gruppi coinvolti, porta ad uno sviluppo dei tratti socio-culturali dei gruppi e delle lingue coinvolte, così come all’espansione o evoluzione dei rispettivi tratti lessicali, sintattici e morfologici.


Sono presenti moltissimi casi, tra le lingue pidgin e creole, nei quali uno degli idiomi impegnati nel processo di “pidginizzazione” risulta essere il francese, l’inglese, il portoghese, lo spagnolo e il nederlandese.
Storicamente, questo risultato ha radici nel grande impegno commerciale e nella espansione coloniale di, rispettivamente, Francia, Inghilterra, Portogallo, Spagna e Olanda.


Oggigiorno si contano centinaia di lingue pidgin e creole. Questi idiomi sono presenti in tutti i continenti, anche se la maggior concentrazione si registra nella fascia tropicale.


Il portuñol è una interlingua che si parla ai confini tra Spagna e Portogallo e tra Brasile e, soprattutto, Uruguay e Paraguay.


Lo Spanglish, o inglañol, è una lingua ibrida parlata da messicani-americani. Si utilizza soprattutto nel sud della California. Alcuni esempi di parole sono:
(i) parquear to park in inglese e aparcar in spagnolo. In italiano, parcheggiare;
(ii) chequearto check in inglese e comprobar in spagnolo. In italiano, verificare;
(iii) chorchachurch in inglese e iglesia in spagnolo. In italiano, chiesa.


Il Belgranodeutsch è un mix tra tedesco e spagnolo, parlato nel quartiere Belgrano di Buenos Aires in Argentina. Qui, è presente una grande comunità tedesca e le due lingue si sono mischiate dando alla luce parole come:
(i) lechen = melken in tedesco e  leche (il latte) in spagnolo. In italiano, mungere;
(ii) vacke Kuh in tedesco e vaca in spagnolo. In italiano, mucca.

 

 

 

 

 

Lingodrops 1: Buscar Marica por Ravena

 

 

Questo detto, anche per chi non fosse un parlante spagnolo, appare abbastanza facilmente comprensibile e traducibile: cercare Maria per Ravenna.  E se ci si fosse chiesto a proposito del suo significato, ci viene in soccorso un suo sinonimo: cercare un ago in un pagliaio. Curioso? Si, perchè proprio il predecessore di questa figura metaforica contadina è la nostra romagnola Maria. E perchè? Per rispondere a questa domanda bisogna tornare indietro di qualche anno.


La prima occorrenza che incontriamo ha luogo nella versione inglese del capolavoro letterario di Miguel de Cervantes Don Quijote de la Mancha. Alla frase “buscar […] como a Marica en Ravena” seguì, nella traduzione inglese “as well look for a needle in a bottle of hay“. Dopodichè, la figura dell’ago nel pagliaio deve aver preso il sopravvento: facendo una semplice ricerca su Google, notiamo infatti che il rapporto tra questi due proverbi è abbondantemente 2:1.


Che si parli di Maria o di aghi persi tra la paglia, il valore di questa metafora è sempre lo stesso e indica “la difficoltà di trovare qualcosa” o “si utilizza quando si intraprende un compito dall’esito dubbio in rapporto al tempo richiesto”, traducendo la definizione data dal Refranero multilingüe del sito web del Centro Virtual Cervantes.


Secondo il libro di Montoto y Rautenstrauch (1888) Un paquete de cartas: de modismos, locuciones, frases hechas, frases proverbiales y frases familiares, consultabile anche online attraverso il sito web della Biblioteca Virtual Andalucía, l’origine di questa locuzione proverbiale è italiana. Si usa per esprimere l’inutilità di alcuni compiti, come cercare una donna o ragazza di nome Maria a Ravenna, dove in tempi antichi (e anche odierni) questo nome è ampliamente utilizzato.
Figura analoga a quella di Maria nel mondo ispanico è stata anche: buscar por Mahomad en Granada.


Nella varietà romana di italiano si dice: cerca’ Maria pe’ Roma.


Facendo un confronto tra alcune lingue si nota che questa figura è presente in maniera analoga in tedesco, eine Nadel im Heuhafen suchen, spagnolo, un aguja en un pajar es dificil de encontrar e inglese, look for a needle in a haystack.


Secondo la Real Academia Española Marica è il diminutivo di María, nome femminile derivato dall’ebreo Miryam.